Il bosco si estende su un grande altopiano sabbioso, solcato da una serie di valloni, che degrada dolcemente verso la pianura di Vittoria (RG), con quote oscillanti intorno ai 250 metri s.l.m. E’ delimitato a nord dal vallone Ogliastro, ad est dal fiume Ficuzza, a sud dal territorio del comune di Acate e ad ovest dal vallone Terrana.
Storicamente faceva parte di una baronia denominata Fetanasimo estesa 25000 ettari. Fu il re Ruggero il Normanno a concederlo nel 1143 alla cittadina di Caltagirone come ricompensa per l’aiuto dato a sconfiggere i saraceni che si erano arroccati su un’altura vicina (Iudica).
Quella splendida zona ricoperta da maestose querce da sughero si estendeva lungo tutta la fascia sud orientale dell’isola siciliana, dall’entroterra calatino sino alle zone costiere delle città di Gela e Scoglittie rappresentava uno dei più grandi esempi di macchia mediterranea esistenti. E’ difficile immaginare cosa fosse allora questo pezzo di Sicilia, dal momento che oggi il Bosco di Santo Pietro non esiste quasi più.
Il clima è di tipo mediterraneo caratterizzato da lunghi periodi di siccità.
La vegetazione ha subito nel corso del tempo una intensa azione antropica che ne ha sconvolto la fisionomia originaria.
Nel 1901 il bosco si estendeva ancora per circa 5000 ettari mentre oggi, a seguito di successive quotizzazioni, esso supera di poco i 2000 ettari. Nei primi del ‘900 inizia la lenta distruzione di Santo Pietro che in un bollettino del Regio Ministero dell’Agricoltura veniva definito “Bellissimo bosco giustamente ritenuto la più estesa sughereta d’Italia”.
In alcune località, come fontana del cacciatore, fontana Molara, cava Cannizzolo, Bongiovanni, la densità vegetazionale è tale da far rivivere nel visitatore il fascino della antica foresta mediterranea.
SANTO PIETRO: il primo documento nel quale viene usata la dizione Santo Pietro risale al 3 giugno 1399. In epoca medievale risulta una chiesa dedicata a San pietro in C.da favara (a 2 Km. a sud di Grammichele) il cui culto era molto diffuso propabilmente anche al confinante territorio di Fetanasimo. Alla fine del 1200 , il territorio di c.da favara venne comunque annesso alle terre di caltagirone (insieme al casale di s. Basilio ed alla chiesa di s. maria di Bethlem in Terrana)
MUSSOLINIA:città giardino (al fine di popolare il bosco dopo la 2^ quotizzazione – si prevedevano 2.500 residenti) Iniziata nel 1924 e mai ultimata. Furono edificati solo due torri.
VALLONE DELL’ORSO: (valle del fiume Acate-Dirillo) anche a non voler ammettere che nella valle potessero vivere gli orsi nel XII secolo, la presenza di questo toponimo non troverebbe giustificazione se non ammettendo la presenza in quell’area di un fitto manto boschivo nel quale quegli animali potevano, o avrebbero potuto, trovare il loro habitat più adatto.
VALLONE DEL PORCO: (valloni che da Piano Stella e Piano Chiesa scendono verso il Ficuzza ed il Dirillo) dove esisteva un habitat particolarmente accogliente per il maiale selvatico.
SANTA MARIA DI TERRANA: antica abazia, possedimento del Vesvcovo di Bethlem. Attualmente è privata.
SANTA MARIA DELL’IDRIA: chiesetta privata di inizio 900.
CASERMETTE VIGILI RURALI: ve ne erano 4 (in C.da Renelle, attualmente base del Ramarro – in C.da Molara – in c.da Piano Chiesa – in C.da Piano Stella)
Cenni Storici:
L’ex feudo Santo Pietro faceva parte della Baronia di Fetanasimo e Judica e fu donato dal Conte Ruggiero il Normanno nel 1100 ai calatini come compenso della collaborazione della guerra contro i Saraceni per la conquista della Rocca di Judica. Nel 1160 avvenne la conferma della donazione da parte del figlio di Ruggero, Guglielmo I. Nei primi anni del 1900 numerosi ingegneri lavorarono ad un progetto di quotizzazione divenuto effettivo nel 1903, con delibera del consiglio Comunale di Caltagirone, con il quale si assegnavano 600 quote di 2.00 ha ciascuna ad altrettanti agricoltori e braccianti agricoli. Questa prima quotizzazione era finalizzata ad un migliore sfruttamento della zona ed alla ricerca di un profitto economico. Nel 1939 subentrò una seconda quotizzazione. Ogni quota predisponeva oltre al terreno, un fabbricato rurale arredato di mobilio, una stalla con 2 capi bovini ed un pozzo per l’approvvigionamento idrico. Tale forma di lottizzazione aspirava alla creazione di un’unità familiare completamente autosufficiente. Tale politica di sfruttamento del territorio, promossa dal Governo Mussolini, prevedeva tempi di realizzazione non brevi, quindi venne presto accantonata. L’inizio del secondo conflitto mondiale fu decisivo per il fallimento di tale progetto. Parallelamente ad esso, fu presentato il progetto della Città Giardino denominata Mussolinia (l’attuale borgo di Santo Pietro). Nel corso dello stesso conflitto questa area boschiva venne inoltre utilizzata come punto strategico da parte delle forze militari italiane e tedesche. Ancora oggi, infatti, non è raro, ritrovare vecchi residuati bellici, soprattutto nella zona della Contrada Piano Lupo. Una terza quotizzazione avvenne nel 1952. Motivi e criteri furono i medesimi delle precedenti, tranne nel caso degli assegnatari i quali, non furono soltanto agricoltori, ma anche piccoli artigiani. Le quote passarono da 2.00 a 2.50 ha.
Sin dalla fine dell’ottocento l’area boschiva è stata oggetto di numerosi studi e proposte per il mantenimento e miglioramento della stessa, attraverso, ad esempio, la semina della quercia da sughero, l’innesto di olivastri in olivi, la semina di gelso bianco per l’allevamento del baco da seta, la creazione di una stazione zootecnica per la provvista del latte alla centrale di Caltagirone. Uno dei promotori di tali studi e proposte fù Don Luigi Sturzo che s’interesso a far porre il vincolo idrogeologico di tutta l’area. Nel 1955 per interessamento dello stesso Sturzo, venne realizzato un progetto di sistemazione idraulico forestale avente come scopo il rinfoltimento della macchia mediterranea con piantine di eucalipto, acacie e pino domestico, costruzione di briglie in muratura, apertura di strade e sentieri di servizio. La semina della macchia fu ripetuta anche negli anni successivi, ma fu quasi interamente distrutta dagli incendi. Oggi si riconosce la dannosità di tali semine, in quanto le essenze utilizzate, non sonò autoctone, cioè non appartenenti alla macchia mediterranea.
Oggi la riserva di Santo Pietro si presenta notevolmente modificata. Le cause sono molteplici: gli incendi prevalentemente dolosi, il disboscamento selvaggio, la caccia di frodo, il pascolo abusivo, la scarsa manutenzione, hanno portato a considerare la struttura dell’area a macchia di leopardo, con vegetazione arborea rada e danneggiata e folta vegetazione arbustiva. L’estensione attuale del bosco è di circa 2.000 ha. Nel 1991 il bosco di Santo Pietro è stato riconosciuto per il suo valore storico naturalistico ed è stato inserito nel piano regionale delle aree protette come riserva naturale orientata. Dopo varie vicissitudini, con Decreto 23 marzo 1999, la riserva naturale è stata ufficialmente istituita ed affidata in gestione al Corpo Forestale dello Stato.